Le piccole e medie imprese in Italia
Il Rapporto Cerved PMI 2016 è dedicato all’analisi delle piccole e medie imprese italiane (PMI), individuate in base alla seguente classificazione della Commissione Europea:
L’analisi riguarda il complesso di società di capitale non finanziarie che rientrano nei requisiti definiti dalla Commissione per dipendenti, fatturato e attivo di bilancio. In base agli ultimi bilanci disponibili , soddisfano i requisiti di PMI 136.114 società, tra le quali 112.378 aziende rientrano nella definizione di ‘piccola impresa’ e 23.736 in quella di ‘media impresa1.
Queste società, che rappresentano più di un quinto (il 22%) delle imprese che hanno depositato un bilancio valido, hanno occupato 3,8 milioni di addetti, di cui oltre due milioni lavorano in aziende piccole.
Le PMI hanno generato ricavi pari a 852 miliardi di euro, un valore aggiunto di 196 miliardi di euro (pari al 12% del Pil) e hanno contratto debiti finanziari per 240 miliardi di euro. Rispetto al complesso delle società non finanziarie, pesano per il 37% in termini di fatturato, per il 41% in termini di valore aggiunto, per il 29% in termini di debiti finanziari.
1Il 2014 è l’ultima annualità per cui al momento di redazione del Rapporto si dispone del totale dei bilanci depositati dalle società italiane.
I bilanci delle PMI
Dopo i timidi segnali di inversione rilevati nel 2014, il 2015 evidenzia un’accelerazione delle dinamiche congiunturali, che coinvolge tutte le aree gestionali aziendali. Al contrario degli anni passati, le PMI evidenziano risultati lievemente peggiori rispetto a quelli delle grandi imprese, mentre a livello settoriale l’industria, che aveva guidato l’inversione di tendenza nel 2014, continua nel trend di ripresa, che viene agganciato dai servizi. Per la prima volta dopo la lunga crisi economica anche il settore delle costruzioni mostra segnali di miglioramento.
In termini di valore aggiunto le grandi imprese evidenziano una performance migliore (+5%) grazie soprattutto al contenimento dei costi per acquisti delle società energetiche. Le PMI confermano il trend in accelerazione (+3,7%), con una dinamica lievemente migliore per le imprese di piccole dimensioni, che riescono ad arrivare al 4% di crescita annua nel 2015, rispetto alle medie che si attestano al 3,4%.
I margini lordi prodotti dalle PMI continuano a crescere in maniera significativa: le piccole imprese aumentano il ritmo di crescita, portandosi a +5,3%, grazie soprattutto alla dinamica favorevole del valore aggiunto, mentre le medie rallentano, scendendo al +2,9%. Anche le grandi imprese beneficiano della buona dinamica del valore aggiunto, che, aggiunta alla sostanziale stabilità del numero dei dipendenti fa crescere il MOL a un tasso molto vicino all’8%.
La produttività, ossia il costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP) si mantiene sostanzialmente stabile, mentre prosegue, anche nel 2015, il miglioramento della redditività delle PMI italiane, misurata in termini di ROE: dopo il sostanzioso incremento del 2014, si osserva un rallentamento nel ritmo, dovuto anche al raggiungimento di un livello di redditività già significativo. Per il complesso delle PMI si passa dall’8% all’8,6%, il livello più alto dal 2008. Risultati anche migliori per le imprese di medie dimensioni, che arrivano al 9,3%, in progresso di 0,5 punti percentuali rispetto al 2014. Risulta sostanzialmente annullato il divario dimensionale in termini assoluti, con le grandi aziende che, guadagnando 2 punti nel 2015, riescono ad agganciare la redditività delle piccole.
Continua il calo del peso dei debiti finanziari in rapporto al capitale netto e nella dinamica di lungo periodo, dal 2007 a oggi, le PMI si comportano in maniera nettamente migliore rispetto alle grandi, facendo registrare un calo di quasi 35 punti percentuali a fronte di una riduzione di 17,7 punti per le grandi. Fra le PMI, inoltre, si distinguono le imprese di piccole dimensioni che, nel 2015, sono riuscite a scendere al di sotto della soglia dell’80%.
I tassi di interesse che si mantengono bassi hanno permesso a tutte le classi dimensionali di ridurre l’incidenza degli oneri finanziari rispetto ai margini, uno degli indicatori più frequentemente utilizzato per sintetizzare il rischio di credito. Il fenomeno è diffuso trasversalmente a tutte le classi dimensionali e a tutti i settori, con le performance migliori grandi registrate nelle grandi imprese e nel comparto delle costruzioni. In termini di livelli, se le classi dimensionali sono sostanzialmente allineate, fra i settori permangono forti differenze, con valori che vanno dal 26,1% delle costruzioni al 13,9% dell’industria.
La demografia d’impresa
È proseguito il forte aumento di nascite delle società di capitale, spinto dal successo delle Srl semplificate. Nel 2015 sono 87 mila le ‘vere’ nuove società di capitale, il 9,3% in più rispetto all’anno precedente: il 40% delle nuove imprese ha scelto la forma semplificata, in totale 35 mila imprese. Nei primi sei mesi del 2016 il trend è continuato, con tassi più contenuti.
A livello settoriale nel 2015 le nascite sono aumentate nelle costruzioni, nell’industria e nei servizi, ma non nell’agricoltura e nelle utility. L’apporto delle Srl semplificate è stato fondamentale soprattutto per le nuove imprese edili, dove 1 nuova impresa ogni 2 è semplificata, e manifatturiere, dove invece raggiungono il 40%. Nei primi sei mesi del 2016 l’aumento ha invece riguardato tutti i settori dell’economia.
Segnali positivi anche dalle chiusure, dove si rafforzano le tendenze già osservate nel 2014, con un calo che riguarda tutte le procedure. Nel 2015 sono 6 mila le imprese che hanno aperto almeno un fallimento, una procedura non fallimentare o una liquidazione volontaria, il 22% meno dell’anno precedente. Per la prima volta dall’inizio della crisi calano i fallimenti, che si riducono di un quinto tra 2014 e 2015. Scende sotto quota 1.000 il numero delle procedure non fallimentari (-23%), spinto dal sempre minore utilizzo del concordato preventivo, e si rafforza il calo delle liquidazioni volontarie (-21,2%). Tutte le tendenze sono confermate nei primi sei mesi del 2016.
Un indicatore sintetico dell’andamento delle uscite del tempo è l’exit ratio, ossia il rapporto tra le procedure e il totale delle PMI: nel 2015 si è attestato al 3,3%, in calo rispetto al 4% del 2014 ma ancora superiore ai livelli del 2007 (3%).
Il calo è diffuso a tutti i settori, con le costruzioni a mostrare i risultati migliori. Dopo aver risentito ancora degli strascichi della crisi nel 2014, le chiusure tra le imprese edili sono nettamente calate: nel 2015 hanno lasciato il mercato 1,3 mila PMI, il 27,3% meno dell’anno precedente, con la tendenza positiva confermata anche nei primi sei mesi del 2016. Nonostante il forte calo, l’edilizia rimane ancora il settore con il tasso di uscita più alto (4,3%), con industria e servizi che hanno rafforzato i segnali positivi del 2014.
Il miglioramento si riflette anche sul numero di PMI, che dopo cinque anni torna a crescere. La crisi ha ridotto il tessuto delle piccole e medie imprese, che è passato da 136 mila a 150 mila unità: grazie al saldo positivo tra nascite e morti, lo stock di PMI nel 2015 raggiunge quota 136,6 mila, in aumento dello 0,4%.
I pagamenti delle PMI
Il credito commerciale rappresenta un elemento sempre più strategico nella gestione della finanza delle PMI e un’informazione preziosa per valutare la solidità di un’impresa. Grazie a Payline, il database proprietario Cerved con informazioni sulle abitudini di pagamento di oltre 3 milioni di imprese, e alle informazioni di bilancio è possibile analizzare le performance dei pagamenti e del credito commerciale delle imprese.
Nel 2015 e nei primi tre mesi 2016 è proseguito il miglioramento delle abitudini di pagamento delle PMI, accompagnato dall’andamento positivo sia dei debiti commerciali contratti dalle imprese con i loro fornitori (+1,7%) sia dei crediti commerciali concessi alle controparti (+1,1%), dopo tre anni di calo. Gli aumenti rimangono tuttavia inferiori a quelli del fatturato, con il risultato che la quota di fatturato delle PMI finanziata attraverso debiti commerciali ha continuato a ridursi (dal 22,1% al 21,1%).
Positivo l’andamento invece delle fatture non saldate. A giugno 2016 le PMI monitorate dovevano saldare oltre 2 milioni di fatture scadute e in scadenza, per un controvalore di oltre 5,5 miliardi: di queste, 850 milioni risultavano non pagate, pari al 15,5% del totale, in calo del 3,8% rispetto al 2015 e nuovo minimo negli ultimi tre anni.
L’accorciamento dei giorni di pagamento nel 2015 e nei primi tre mesi del 2016 è dovuto alla contestuale diminuzione sia dei ritardi accumulati sia dei termini concordati in fattura, che hanno toccato i 61 giorni negli ultimi tre mesi del 2015. Nel secondo trimestre 2016 si osserva un’inversione di tendenza, con i giorni concordati che dopo anni tornano ad aumentare (+0,6 giorni), riportando il dato ai livelli del 2014. Continua invece la riduzione dei ritardi, che toccano un minimo a 11,5 giorni. Tra aprile e giugno 2016 le PMI italiane hanno pagato in media in 72,2 giorni, 1,4 meno rispetto allo stesso periodo del 2015.
Al miglioramento delle statistiche sui giorni di pagamento si accompagna una maggiore puntualità delle PMI: diminuisce dal 5,8% al 4,9%, un minimo storico, la quota di imprese in grave ritardo, casi che possono sfociare in mancati pagamenti o veri e propri default, mentre aumenta dal 37,4% al 39,8% la percentuale di imprese puntuali, con il risultato di una distribuzione più spostata verso ritardi bassi o nulli.
A livello settoriale i giorni di pagamento sono strettamente correlati all’attività svolta, dato che molte produzioni richiedono tempi lunghi e un credito commerciale maggiore per poter operare. Le costruzioni, settore in cui i tempi di liquidazione delle fatture sono storicamente più lunghi, negli ultimi anni hanno sofferto più di tutti gli effetti della crisi, con pagamenti scesi sotto i tre mesi. L’inversione di tendenza del secondo trimestre 2016 ha visto protagoniste soprattutto le PMI edili, che hanno aumentato i giorni concessi per il pagamento (+3,1 giorni) e continuato a ridurre i ritardi accumulati (-2,9 giorni), con il risultato di un leggero allungamento dei giorni di liquidazione (+0,2 giorni). Tranne l’agricoltura (+1,4 giorni), negli altri settori dell’economia è proseguito l’accorciamento dei tempi di pagamento, grazie alla riduzione sia dei ritardi che dei termini concordati.